Politica
23 Settembre 2018
Il sindaco a tutto campo a Porotto su meriti e demeriti di Pd e amministrazione: "C’è ancora tanto da fare, ma la città è meglio di com’era nove anni fa"

Tagliani: “Abbiamo perso credibilità, Pd vittima di intelligente campagna mediatica”

di Redazione | 7 min

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Porotto. 21 settembre 2018, è un venerdì, era ieri. È una data in qualche modo da segnare, perché dalla festa del Pd di Porotto passa il segnale chiaro che si è passati dal preludio della campagna elettorale alla campagna elettorale vera: per le amministrative, per le europee anche, e più in avanti per le Regionali. Il contesto, per Tagliani e Calvano che si sono seduti attorno allo stesso tavolo in un’intervista pubblica con Nicola Franceschini di Telestense — è un eufemismo: le domande sono volutamente ampie, loro non si fanno pregare e a forza di ragionamenti tangenziali parlano per decine di minuti senza alcun supporto esterno —, è quello di una partita in casa davanti a una cinquantina di militanti che dispensano applausi senza diventare claque mentre tutt’attorno (figurativamente, s’intende) Alan Fabbri del Carroccio dalla sua segreteria regionale ha già cominciato da alcuni giorni a inviare comunicati nei quali già detta la linea su quali assessorati ad hoc andranno creati dall’anno prossimo.

Tagliani e Calvano, ben coscienti della situazione, non solo toccano quindi i punti salienti del presente politico — e ci sono tutti: la crisi e il futuro del partito, lo stato della città, la liquidazione di Carife, il candidato e le alleanze della sinistra, un’analisi del sindaco sul suo mandato, le critiche pesanti a parte della stampa — ma lo fanno con un vigore che a sinistra non si vedeva da mesi ormai in un confronto che fa impallidire per timidezza quello avuto da Debora Serracchiani a Bondeno appena tre settimane fa.

Innanzitutto, il Pd ferrarese si assume la colpa dello sfascio delle politiche del 4 marzo, nel senso che dall’analisi del voto spariscono tutti i ‘ma’ e le attenuanti: “Bisogna essere chiari, abbiamo preso una bella batosta, l’errore da non fare è dire che abbiamo perso perché gli elettori non hanno capito: così si sottovalutano gli elettori e si sopravvaluta sé stessi. Abbiamo perso perché abbiamo raccontato un Paese diverso da quello delle persone, e il fatto che sia convinto che questo governo farà disastri al Paese non è scontato che riporti la gente a votare Pd, l’abbiamo già visto nel 2013”, dice subito Calvano che fa di debolezza punto di forza. “Abbiamo perso la credibilità. Sono orgoglioso della nostra legislatura sul tema dei diritti, ma siamo stati poco incisivi sul tema dei doveri e anche l’immigrazione va trattata così: nessuna distinzione, né sulle accuse per via del colore della pelle né su quello delle camicie nere che fanno la ronda nelle spiagge. Dobbiamo avere il coraggio di fare le nostre battaglie anche controvento, non di cambiare il nostro atteggiamento per lisciare il pelo agli elettori”, continua, proponendo poi un reddito di disoccupazione europeo come alternativa a quello di cittadinanza e definendo “clamorosa” la mancanza di un congresso a sei mesi da una sconfitta elettorale.

“Uno dei problemi è stato che abbiamo guardato ai diritti delle minoranze e abbiamo perso il contatto con la maggioranza delle persone, abbiamo avuto un po’ di autosufficienza. Altri hanno guardato solo al consenso facendo leva sui punti in cui siamo deboli”, riprende Tagliani che poi ruba lo show e non solo perché gli occhi sono comunque puntati su di lui. Inizia a fare un ragionamento sullo stato della città: “Il sindaco è stato trasformato in sceriffo e netturbino, ma se volevo fare lo sceriffo prendevo il porto d’armi, e in tutto questo i media hanno cavalcato l’onda”, attacca.

Sui media si sofferma non poco, con sé ha tre gigantografie di un quotidiano locale sui giorni della copertura dello spaccio di Pontelagoscuro e le sventola mentre non le manda a dire: “Prima arriva una pagina titolata ‘Siringhe e sangue, basta spaccio’ ma la notizia è che una signora ha attaccato un cartello su un albero. C’è lo spaccio? Denunciamolo alla questura. Invece no, ci deve pensare il sindaco anche se i Comuni non hanno competenza nella repressione dei reati perché la Municipale non ha accesso alle banche dati del Viminale. Il giorno dopo c’è sempre il cartello del giorno prima, poi ancora due pagine perché il cartello di quattro giorni prima è stato staccato mentre uno pensa ci sia un problema di spaccio [le verifiche straordinarie nella zona della Municipale non hanno dato esito, ndr]”. E ancora: “Abbiamo un questore e un comandante dei Carabinieri che hanno l’esclusiva sull’ordine pubblico, ma si fanno ricadere questi problemi come fossero colpe dei sindaci. Intanto da quando c’è questo governo non si parla più dei migranti che stanno qui che non si ghiacciano d’inverno, continuano a stare sulle panchine e non li si può far lavorare o fare volontariato perché Alfano non ha fatto nulla: vogliamo capire che ci stanno prendendo per il c…? Dobbiamo aggredire questa realtà, siamo vittime di un’intelligente campagna mediatica. Il Pd deve affrontare questo problema dello stravolgimento della realtà”.

Per lui l’amministrazione è altra cosa: l’inaugurazione a breve del Palaspecchi — “ci stiamo lavorando da quattro anni, avremo uno studentato, ma diranno che è merito da Naomo che voleva buttarlo giù” —, la gestione degli immobili scolastici del Comune costantemente ammodernati o 1500 studenti tutti vaccinati tranne otto, più quelli di terza media che possono circolare gratis sui bus.

Tocca al tema Carife: “Alla mia amministrazione ha dato un grande aiuto perché dal primo giorno non ho avuto dubbi da che parte stare: quella dei risparmiatori”, enuncia il primo cittadino, “e nessuno può negare che non ci abbia messo la faccia. Ho incontrato i risparmiatori, sono andato due volte a Roma, incontrato sottosegretari, scritto al ministro delle Finanze e al governatore della Banca d’Italia, poi certo mi faccio carico del mio governo e del mio partito”. Dice anche che dall’organo di vigilanza sono arrivati “errori colossali” quando hanno permesso un aumento di capitale di 150 milioni e se la prende con i governi precedenti per aver firmato l’accordo per il bail-in “condannando a morte 20mila risparmiatori dicendo che le banche erano a posto mentre gli altri Paesi come la Germania e il Regno Unito prima le avevano riempite di soldi”.

Infine rimane da srotolare tutta la questione delle elezioni, ovvero quella di come vincere una tornata prossima ventura che si presuppone si trasformerà in un testa a testa. Tagliani prima parte da una riflessione sul suo mandato e lascia “una città che ha subito tre terremoti: la crisi economica dal 2008 in avanti, il fallimento della banca locale e quello vero. Ma Ferrara è più vivace di dieci anni fa, la parte commerciale è riqualificata, il turismo fino a quest’anno è cresciuto a doppia cifra. Abbiamo il Meis e un centro studi, imprese da 300 dipendenti che non c’erano, alloggi Acer che erano fermi a Barco e ora ci abitano 76 famiglie, una tangenziale ovest che non c’era e tutti i cantieri in corso. Abbiamo fatto un mezzo miracolo, affrontando i problemi con creatività: la chiusura del Po poteva diventare un disastro e invece a giorni riapre e nel frattempo abbiamo riscoperto il Po. Il tutto mentre le tasse sono quelle di sei anni fa e investendo anche 7 milioni per la Spal. Tutte cose che non si trovano sulla stampa ma che il partito deve imparare a valorizzare”.

Certo, i problemi comunque ci sono, e finita la parte colta e ‘valoriale’ del discorso subentrano tutti gli aspetti concreti del fare politica. “I problemi sulla sanità ci sono, e non è l’euro del parcheggio. Sono i 45 milioni di euro di mobilità passiva, il capire se i dipartimenti interaziendali andranno avanti o no, mezzo ospedale vuoto e via Cassoli piena. C’è ancora tanto da fare, ma la città è meglio di com’era nove anni fa, e che la prostituzione e la droga non c’erano lo raccontiamo a qualcun altro: avevamo un servizio comunale di raccolta siringhe, e ora siamo in fondo alle graduatorie sulla criminalità”.

Per questo, il prossimo candidato lui non lo nominerà — “sarebbe un errore clamoroso, diventerei un monarca” —, “ma il partito deve comunque rispondere a questa domanda”. Le caratteristiche che servono, per lui, sono solo due: vincere le elezioni e fare meglio di quanto Tagliani stesso abbia fatto, “poi quali siano i criteri di selezione non lo so”. Quello che sa, però, è che “nella giunta c’è qualcuno capace di fare il sindaco, ma se lo identifico non gli faccio un favore in un posto e un momento dove il Pd è visto come il partito dell’arroganza e della continuità. Intanto dobbiamo recuperare la politica delle alleanze, c’è già chi ha annunciato che correrà da solo senza aver fatto alcun confronto con noi”.

A Porotto però, in platea, oltre a Vitellio e Baraldi e Bertolasi, seduto ai margini degli astanti c’è Aldo Modonesi. Ogni tanto Tagliani ne cerca lo sguardo. A fine serata, qualche applauso dopo e alcune formalità in meno la domanda è spontanea: “Sarà lui?”. Gli occhi rotolano verso l’alto, il capo ne segue leggermente i movimenti. Nessuna risposta. Però in giunta qualcuno capace di raccogliere la sua eredità c’è.

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